Episode 28

L’innovazione digitale dell’azienda del vino – con Alessandro D’Annibale di H-Farm

In questa puntata parliamo con Alessandro D’Annibale, responsabile degli hackathon (e degli Hack-Wine) di H-Farm, incubatore nella campagna della tenuta Ca’ Tron ai margini delle province di Treviso e Venezia e uno dei luoghi di riferimento per il digitale, l’innovazione e le startup in Italia. Ma cosa sono gli hackathon e cosa c’entrano col vino? Perché e come le aziende del vino possono trasformarsi col digitale?


Cosa bisogna fare? Allargare l’impiego del digitale al di fuori dei confini del marketing e della comunicazione verso una trasformazione radicale dei processi che sono tipici di un’azienda.

Note: 


Alessandro D’Annibale


H-farm


Drinkout


Eattiamo


Ferrari


Zonin


Allegrini


Tommasi


Luxottica


Technogym


 


Puoi ascoltare l’intervista audio, cliccando in alto in questo articolo. Qui sotto c’è la completa trascrizione.



Stefano: Bentrovati, dunque. Oggi parliamo di innovazione a Wine Internet Marketing: una parola abusata, anche nel mondo del vino, se vogliamo. Se ne parla molto nei convegni, se in meno la cosa è praticata nei comportamenti. Per declinare oggi questa innovazione, soprattutto nel mondo del vino, parliamo con Alessandro D’Annibale, che è responsabile di H-ACK, gli hackathon di H-Farm.


Benvenuto, Alessandro.


Alessandro: Grazie, ciao a tutti.


Stefano: Sei responsabile degli H-ACK, che sono delle vere e proprie maratone per hacker di H-Farm, prima di entrare in H-Farm hai collaborato con Depop, un marketplace mobile, poi ti eri occupato anche di editoria, se non sbaglio…


Alessandro: Sì, sono ancora un giornalista.


Stefano: Sei ancora un giornalista! Perfetto. Prima di arrivare a parlare di innovazione, abbiamo detto alcune parole: H-Farm, hackathon… partiamo da qui: che cos’è H-Farm, intanto? Raccontaci del posto dove lavori.


Alessandro: Allora, H-Farm è una piattaforma che è nata per supportare lo sviluppo di modelli di business innovativi. Attualmente, dopo dieci anni di attività, è una realtà che si è evoluta su tre rami, tre ramificazioni: una, che è appunto quella di investire e accelerare progetti innovativi in ambito digitale; la seconda è quella appunto di aiutare le grandi aziende del nostro territorio nella fase di trasformazione digitale, per cui di supportarli con tutta una serie di servizi in questo senso; terza strada anche di formare non solo le nuove generazioni, ma anche le persone che già operano nel mondo del lavoro e all’interno di aziende attive che appunto vogliono seguire a loro volta un processo di trasformazione delle loro competenze. Per cui di accompagnarli, ecco, in questo senso, nella trasformazione digitale delle loro competenze.


Stefano: Ok, d’accordo. E tu, in modo particolare ti occupi di hackathon… raccontaci un po’ che cosa sono questi hackathon, anche perché in modo particolare ne avete realizzati anche nel vino, ed è da qui che poi partirei con la nostra conversazione. Che cosa sono?


Alessandro: Allora, è un format, quello degli hackathon, diciamo che non è nostro proprietario ma è un format che è nato alla fine degli anni Novanta negli Stati Uniti, ovviamente all’interno dell’area della Silicon Valley, e che nasce come una sorta di raduno/maratona, in genere durano dalle 24 alle 54 ore, sono delle maratone durante le quali programmatori ed informatici si incontrano per lavorare su un software già esistente e sviluppare qualcosa di nuovo a partire proprio da quel software. Chiaramente sono sponsorizzati dall’azienda organizzatrice, che non solo vuole entrare in contatto con delle teste e dei talenti che possono ovviamente lavorare per loro, ma anche innovarsi e innovare i propri prodotti. Quello che chiaramente è successo negli anni, è che questo format si sia spontaneamente diffuso in maniera enorme, a livello globale, e noi come H-Farm, in particolare come nostra prima pelle che un po’ quella di incubatori di impresa, abbiamo sempre ospitato hackathon all’interno del nostro quartier generale, fino al momento in cui, nel 2013, quasi due anni e mezzo fa ormai, abbiamo deciso sostanzialmente di organizzare degli hackathon che fossero in grado di rispondere alle esigenze di mercato e anche andare incontro alla digitalizzazione delle aziende, per cui abbiamo un po’ preso questo format e cercato di adattarlo alle esigenze delle aziende, alle esigenze molto spesso concrete, di base, in questo processo di trasformazione digitale, e abbiamo lanciato un’evoluzione, in un certo senso, di questo format che risponde al nome di H-ACK, con l’h davanti, come in tutte le nostre iniziative, che è appunto volta a sottolineare la centricità dell’uomo e dello Human che c’è davanti alla nostra stessa realtà, e poi chiaramente nella logica di portare attenzione sul mercato e su quello di cui le aziende hanno realmente bisogno.


Stefano: Senti, perché c’è bisogno di questo approccio che usate voi negli hackathon? Cioè, di mettere insieme delle persone, anche con background differenti, di farle lavorare in questa maniera…


Alessandro: Beh, sicuramente uno dei vantaggi maggiori, che derivano dal fatto di riuscire a far contaminare l’esperienza di persone diverse, con background diversi, è proprio nella spinta creativa che si ottiene, e dall’altra parte anche dalla capacità di rimettere insieme delle competenze che sono quasi sempre provenienti dal settore di riferimento, con delle competenze diverse, come quella informatica, oppure quella di design, che i ragazzi solitamente hanno, partecipano, hanno e vogliono appunto mettere in gioco, per cui è proprio in questa miscela di creatività e di competenze complementari che c’è una buona riuscita dell’hackathon dal nostro punto di vista. Poi, quello che noi abbiamo cercato di fare, sostanzialmente era di lavorare a degli hackathon che avessero dei team, dei gruppi di lavoro con un format molto simile a quello di una startup, per cui è come se un’azienda che decide di partecipare ad un hackathon avesse davanti tante piccole startup pronte a lavorare sul brief, sulla sfida che hanno lanciato.


Stefano: Ok. Ci vuoi raccontare chi aveva partecipato, a questi hackathon del vino, in modo particolare?


Alessandro: Sì, sì. Beh, assolutamente. La prima edizione dell’hackathon che abbiamo organizzato con il vino è stata un’edizione che ha visto come protagonisti Allegrini, Ferrari, e la stessa Vinitaly, che è poi diventata partner con Vinitaly International della nostra iniziativa, ed è un’edizione che è stata, in un certo senso, una scommessa, perché effettivamente è stata una delle prime in assoluto, a livello globale, organizzata sul vino, ed è in assoluto, dal mio punto di vista, anche una di quelle che ha dato dei riscontri più importanti proprio, appunto, anche in un certo senso, nella… come si può dire, contrapposizione naturale che c’è tra un settore così, passatemi il termine, “tradizionale”, dal punto di vista, almeno diciamo dell’immaginario, no, che le persone hanno di questo mondo, e dall’altra parte, degli ingredienti e degli strumenti che il digitale può mettere a disposizione in questo settore. Tant’è che poi, uno dei progetti che si era messo più in mostra durante la prima edizione, è diventato una delle startup che H-Farm ha deciso di accelerare, rispondendo al nome di Drinkout, che è un progetto nato proprio, diciamo, dai risultati di quell’hackathon, da uno dei gruppi di lavoro che poi, anche se non era stato direttamente premiato da Vinitaly, ma aveva concorso alla sfida lanciata da Vinitaly, è stato poi accelerato da H-Farm ed è poi diventata una delle nostre startup.


Stefano: Ricordo quando l’avevate presentato a Vinitaly. Vuoi ricordare cosa fa Drinkout? Così diamo un’idea…


Alessandro: Drinkout, intanto, ha, sostanzialmente, da una parte risposto alla sfida che Vinitaly aveva lanciato, una sfida appunto volta ad individuare un modo per far tornare il vino ad essere “una bevanda sexy”, cito testualmente le parole di Stevie Kim, di Vinitaly International, quando aveva lanciato questa sfida tra i giovani, per cui la logica è stata proprio quella di individuare una soluzione che utilizzasse un linguaggio tecnologico per far parlare quel tipo di linguaggio al vino. E la logica con cui è nata Drinkout è proprio quella di poter mettere in contatto persone diverse, conoscere persone che non conosciamo, ma che possano avere dei gusti simili al nostro, attraverso il vino e il gesto dell’offrire da bere, per cui poi la potenzialità che ha Drinkout è da una parte quella di permettere, ovviamente, a persone che non si conoscono, ma che sono simili, di entrare in contatto con quello che una volta si faceva, mandando la bottiglia, offrendo un bicchiere di vino ad una persona, all’interno dello stesso locale per conoscerla, per cui usa la tecnologia e in particolare, i proximity marketing in generale, quel tipo di soluzioni, e poi, dall’altra parte…


Stefano: Soluzioni quindi che consentono a persone che sono nello stesso spazio, che comunque sono vicini, ok…


Alessandro: Di entrare in contatto tra di loro attraverso il Bluetooth, sostanzialmente, grazie a delle antenne Bluetooth che sono posizionate nel locale, di farle incontrare… e poi, dall’altra parte, sempre attraverso il Bluetooth, permette di far conoscere novità, promozioni, nuovi prodotti, alle persone che si trovano in quell’area, in quella città per la prima volta sempre attraverso il suggerimento tramite le notifiche che normalmente si ricevono sullo smartphone tramite le applicazioni. Per cui ha un duplice valore: da una parte quello sociale, dall’altra parte quello più commerciale, legato proprio al suggerimento dei nuovi prodotti e all’autopromozione dei locali che aderiscono a Drinkout.


Stefano: Ok, quindi da una parte tenta anche di creare una base sociale importante, una comunità a cui poi magari anche far passare dei messaggi. Ti volevo chiedere una cosa: adesso si parla anche molto di questo proximity marketing… magari poi dopo parliamo anche di altre due startup, di un’altra startup anche nel mondo Food, di cui ho saputo che avete presentato… Al di là della startup, volevo parlare con te, in questa conversazione, un po’ del tema dell’innovazione, perché molto spesso il tema dell’innovazione sembra talvolta ridursi ai nuovi tipi di comunicazione: in realtà si tratta di un approccio ben più complesso, tant’è che ragionando prima di questa intervista con te, mi dicevi “Forse dobbiamo parlare di trasformazione digitale di un’impresa”. Ecco, per parlare di innovazione digitale dell’azienda del vino, vuoi chiarirci meglio questo concetto?


Alessandro: Sì, quello che noi stiamo in un certo senso portando avanti come missione, passami il termine, ma comunque è anche un po’ la logica che muove i servizi che sono all’interno di quella che noi chiamiamo “industry”, cioè l’area dedicata alla trasformazione digitale, è proprio quello di vivere il momento dell’hackathon innanzitutto come uno dei primi passi della trasformazione digitale, ma comunque come uno dei gradini che l’azienda percorre nel momento in cui decide di percorrere un percorso di trasformazione in questo senso, però quello che noi cerchiamo di fare è di allargare questo ragionamento e questa trasformazione al di fuori dei confini del marketing e della comunicazione verso proprio la trasformazione radicale dei processi che sono tipici di un’azienda. Per cui, quello che noi facciamo è proprio lavorare in profondità insieme all’azienda e lanciare, hackathon dopo hackathon, delle sfide poi che sono sempre più, diciamo, strategiche rispetto al business di un’azienda. Siamo reduci da un hackathon organizzato i primi di dicembre con Luxottica, che ha chiesto ai partecipanti di evolvere l’occhiale attraverso tutte le soluzioni che la tecnologia e la sensoristica moderna, attuale, possano effettivamente percorrere… la logica è stata proprio quella di lavorare sul prodotto più importante per Luxottica, chiaramente l’occhiale, e immaginarlo in maniera evoluta e diversa da quello che è ad oggi, per cui chiaramente lì si va addirittura a toccare gli argomenti così strategici, tanto addirittura da avere delle edizioni di hackathon che hanno dei livelli di riservatezza molto elevati, che vengono svelati solamente dopo la realizzazione dell’hackathon.


Stefano: Senti, Luxottica per l’ottica, Zonin, ci hai detto, per il vino… uno dei temi, uno dei nodi dell’innovazione è spesso dato dalla difficoltà, soprattutto delle aziende medie e piccole, di accedere a questa pratica dell’innovazione, o comunque di investire, per esempio, in ricerca e sviluppo, e anche in questo modo innovativo che ci stai raccontando tu. Solo i grandi nomi, o solo le grandi imprese come sembra, possono accedere a questo tipo di sviluppo o…? Tu come la vedi?


Alessandro: Mah, io credo che da un certo punto di vista maggiore nella dimensione dell’azienda ma anche in un certo senso la complessità dei processi che ci sono dietro, chiaramente, anche se c’è una scalabilità molto elevata di questo tipo di business, però comunque c’è anche una trasformazione importante da mettere in campo nei processi che ci sono dietro, a partire dal cambiamento degli strumenti che vengono utilizzati internamente, per cui è evidente, in un certo senso, che le aziende più grandi possano essere più veloci e possano avere anche le facoltà economiche per mettere in campo più rapidamente questo tipo di cambiamenti, per cui è sicuramente più accessibile questo tipo di progetti per aziende importanti della dimensione che hai citato tu, tipo Santa Margherita anche, mi viene in mente, che ha partecipato all’ultima edizione dell’hackathon sul vino… è chiaro che, però, questo è un processo che parte molto più lontano, per cui, puoi avere di fronte un’azienda molto piccola ma che comunque è già molto evoluta proprio perché da fuori, le persone che ci lavorano, le nuove generazioni che prendono in mano le sorti di quell’azienda, sono delle generazioni già digitalizzate, quindi, chiaramente, questo processo diventa più facile, più veloce, paradossalmente potresti avere di fronte un’azienda molto piccola che fa poche bottiglie, ma che comunque è già fortemente digitalizzata, o comunque va già in una direzione molto interessante.


Stefano: Quindi i fattori decisivi quali sono?


Alessandro: Il fattore economico, diciamo che riduce i tempi, ecco, sicuramente.


Stefano: Il fattore economico riduce i tempi, quindi è un facilitatore alla cultura aziendale, il fatto anche tu dici delle giovani generazioni, in questo sono ovviamente più avvantaggiati…


Alessandro: Beh, già sicuramente avere un’anagrafe molto bassa, internamente all’azienda, è sicuramente qualcosa che può essere assolutamente determinante e può portare ad avere un approccio completamente diverso. Io guarda, devo essere sincero: ci è capitato di tutto in queste 25 edizioni dell’hackathon; ci è anche capitato anche molto spesso di avere davanti imprenditori molto giovani ma scarsamente ricettivi. Io mi ricordo il caso di Tommasi, invece, in cui, anagraficamente avevamo di fronte una persona che aveva tutte le esperienze e la storia del marchio sulle spalle, ma comunque una prontezza, anche se magari non c’era tutta una preparazione, una prontezza nel saper recepire un appuntamento come quello e le soluzioni che non ho visto in ragazzi di vent’anni.


Stefano: Ok, diciamo così: spesso si riscontra, magari, una tendenza a muoversi in una maniera innovativa nei più giovani, ma non è affatto detto: non è conditio sine qua non né sufficiente l’essere giovani per, insomma, approcciare l’innovazione.


Alessandro: Assolutamente sì.


Stefano: Quindi, ecco, senti, vuoi raccontarci anche qualcosa di voi? Voi cosa fate? Qual è la prima cosa che fate quando un’azienda viene da voi e dice “Vorrei partecipare a un vostro programma”, insomma, tu adesso ci hai parlato dell’hackathon, poi voi avete anche molti altri formati, o insomma, altre modalità con cui voi coinvolgete le aziende nei vostri programmi…


Alessandro: Guarda, diciamo che indipendentemente dalla complessità dell’attività che abbiamo davanti, o del processo che andremo ad innescare successivamente, c’è a monte un lavoro, diciamo, di conoscenza e di assessment importante, per cui quello che noi facciamo è raccogliere quante più informazioni possibili e quanto più rapidamente possibile sull’azienda che abbiamo di fronte e dire indipendentemente dall’azienda, conoscendo e intervistando e andando a farci raccontare come l’azienda lavora, dai protagonisti dell’azienda stessa, a tutti i livelli: da chi si occupa della produzione fino alla vendita e all’amministratore delegato direttamente. Chiaramente questo è un periodo più o meno lungo in base alle dimensioni dell’azienda e alla rapidità con cui queste risposte ci vengono date e da quello, a livelli diversi e in modi diversi, cominciamo a definire quello che può essere questo percorso di trasformazione digitale, scrivendo una vera e propria road map che l’azienda poi può percorrere o meno con noi, ma che comunque è un po’ la nostra ricetta, la nostra soluzione.


Stefano: Ecco diciamo: tutta l’azienda è coinvolta a tutti i livelli, necessariamente…


Alessandro: Sì, sì, questo per forza, assolutamente.


Stefano: Quindi non c’è mai una visione dall’alto…


Alessandro: No, no. Infatti ci sono dei percorsi che sono comunque più, in un certo senso, diciamo, legati a delle modalità di co-progettazione, per cui lo spunto, l’impulso, viene dall’interno e le persone che lavorano in azienda insieme alle nostre lavorano per definire questo percorso e per cambiare, trasformare l’azienda, ma dall’altra parte ci sono anche dei momenti in cui l’azienda guarda verso l’esterno con questi format dell’innovation, come nel caso dell’hackathon, o di programmi di accelerazione dedicati, come quello che stiamo facendo con Technogym, che ormai è alla terza edizione, dove appunto l’azienda sfrutta il programma dell’accelerazione di H-Farm per portare dei progetti che ritiene interessanti su un livello più alto e nella traiettoria del suo business, per cui sfrutta il nostro lavoro proprio per poter investire, e acquisire magari, dei business innovativi che vengono dall’esterno, che vengono...

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